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La crisi HMV/FNAC: che succede?

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La brutta fine di Nipper, il cagnolino di HMV, Foto via Facebook

Di Chiara Papaccio

In Inghilterra la stanno mettendo giù in maniera drammatica: da giorni non si parla d'altro che dell'imminente chiusura di HMV, la storica catena di negozi di dischi (e annessi e connessi) che di punto in bianco ha annunciato il fallimento e lo stop dei propri negozi. Sedici, solo ieri, sono già andati, kaputt, in Irlanda e, piccolo dettaglio, sono decine di migliaia i clienti inferociti che devono ancora incassare i buoni regalo ricevuti per Natale e che ora quel che resta di HMV rifiuta di servire. Segue polemica nella polemica, mentre commentatori nel campo dell'economia, della società, della cultura si affaticano a ricercare i motivi del fallimento del gruppo di negozi: poco competitivo nel campo delle vendita della musica in digitale, sicuro; poco reattivo ad allinearsi con i più aggressivi Amazon o Play.com, certo; ma anche "fregato" dall'inghippo fiscale per cui altri rivenditori, con sede non in Inghilterra ma in Lussemburgo o nelle Isole del Canale, hanno potuto avvalersi di tassazioni più leggere.

Noi da qui guardiamo incuriositi, ma il dramma inglese non ci sfiora più di tanto: del resto abbiamo i nostri domestici problemi con la FNAC: nominato il liquidatore, martedì prossimo ci sarà un incontro con i sindacati per definire il futuro degli impiegati del ramo italiano del colosso. I quali impiegati però scrivono su Facebook, senza mezzi termini "La Fnac che conosciamo è finita". Ahi.

L'occasione per una riflessione è ghiotta: dove hanno sbagliato, se hanno sbagliato qualcosa, le due catene di negozi? Il web ammazza davvero il commercio fisico di dischi? E se queste due realtà dovessero sparire domani, a chi dovremmo rivolgerci per comprare musica? A queste domande sentitevi liberi di rispondere qui nei commenti o sui social network di casa Rolling Stone Italia. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo chiesto a tre accaniti consumatori di musica di nostra conoscenza, di parlarci delle loro abitudini di acquirenti. In rigoroso ordine alfabetico!

Matteo B. Bianchi, scrittore, papà di 'Tina, e autore radio-televisivo: "Da un paio d’anni faccio parte di una categoria statistica in forte rialzo (secondo ricerche che leggo su internet), ossia gli acquirenti di dischi in vinile. Credo che una delle motivazioni che mi ha spinto verso questa scelta è stato il bisogno di ritrovare il contatto con il prodotto fisico dopo un’abbuffata (in parte al di fuori di ogni controllo) di materiali digitali. Il disco in vinile mi appare come un bell’oggetto, richiede cura e pulizia, è un piacere per gli occhi per le dimensioni delle copertine, arreda un casino anche lasciato in giro per terra o sugli scaffali e indica (almeno ai miei occhi, quando lo noto negli appartamenti altrui) la presenza di un vero cultore della musica. Call me retrò. Ma non si tratta solo di una scelta affettiva ed estetica. Al contrario: devo ammettere che riportare un giradischi in casa è stata una piccola e domestica rivoluzione copernicana. In primo luogo perché mi ha ridato accesso a scatole di reperti discografici per anni seppelliti in scatoloni nella cantina dei miei. Poi perché mi ha condotto verso un nuovo universo di acquisti. Scoprire l’esistenza della comunità virtuale di Discogs (sito che unisce privati da tutto il pianeta che mettono in vendita le loro collezioni) è stato come aprire il vaso di Pandora: finalmente sono riuscito a mettere le mani su edizioni rare mai arrivate in Italia che cercavo da secoli (doppio 7” gatefold, a me!), a trovare album di artisti minori mai ripubblicati su supporto digitale (incluse soprattutto molte band italiane di epoca new wave), a scoprire produzioni di artisti di cui ignoravo persino l’esistenza. Terzo effetto positivo, è stato l’approdo ai negozi di dischi usati. Quello che mi piace di andare in questi negozi è che ogni visita si accompagna a un senso di sorpresa. Si tratta di spedizioni fortuite: a volte non trovi nulla, a volte ti capita fra le mani un tesoro inimmaginato. Il mio preferito del momento è Vinyl Brokers, un negozietto periferico dalle parti di viale Monza a Milano (via Pericle, 4). Mi piace perché gli arrivi sono continui, ogni settimana c’è del materiale nuovo, in genere conservato ottimamente e con prezzi che vanno dalle 2 alle 5 euro. Anche questo è un aspetto che trovo psicologicamente gratificante: tornare a casa con una borsa piena di dischi e aver speso meno di 20 euro. In tempi di recessione economica non è poco."

Emiliano Colasanti, giornalista (anche su RS!), lui papà (con Giacomo Fiorenza) di 42 Records: "Ho un ricordo nitido della prima volta in cui sono andato in vacanza premio a Londra (metà degli anni '90, anni di britpop e Cool Britannia), ed HMV era una delle mete che mi ero prefissato di visitare. Nel senso che non ci sono finito dentro per caso. Capirete quindi la mia reazione alla notizia dell'imminente chiusura che toccherà tutti gli store della catena: per me è come se si trattasse della chiusura di un monumento. È la Cappella Sistina che viene tinta di bianco, la Torre Eiffel che viene smontata pezzo per pezzo e fusa, la statua di Manuela Arcuri, quella di Porto Cesareo, che viene distrutta a colpi di scalpello. Qualcosa del genere. Sarà per via della sua presenza in tutti gli aeroporti del regno, ma per me HMV è sempre stata “Londra” almeno quanto la guida a destra, il fish 'n' chips, la Regina e John Cleese. Poi, certo, quel tipo di negozio non sarebbe mai potuto essere il mio preferito (Rough Trade di Talbot Road, la variante East a Brick Lane, il compianto Minus Zero, giusto per rimanere in città), ma le sensazioni che si provavano entrando lì dentro erano diverse da quelle che provi quando passi la porta di un Ricordi Mediastore in pieno centro. E ora che succede? Succede che da compratore di dischi compulsivo mi sento sempre un po' più triste e solo, ma non mi arrendo. E se da una parte non mi sono mai piegato del tutto alla legge del download digitale (va benissimo per le singole canzoni, ma se voglio un album intero lo devo possedere fisicamente, pochi cazzi), dall'altra ho sostituito molti dei miei negozietti del cuore con alcuni store online. Lasciamo stare Play.com e Amazon: ovvio che compro anche lì, ma è come andare alla svendita dei grandi magazzini. Col tempo ho scoperto che mi piace acquistare direttamente dalle etichette: Matador, 4AD, Domino, Stones Throw, Constellation (solo per citare quelle che non sono nuove a promozioni interessanti e dimostrano una costante attenzione nei confronti del cliente e del prodotto). Anche se so che non rinuncerò mai al piacere di uscire in strada, entrare in un negozietto e affidarmi quasi completamente al caso. Ho un negozio che sento mio in ogni città: Backdoor a Torino, Tosi a Reggio Emilia, La casa del disco a Faenza, Nordovest a Frosinone e Radiation Records a Roma - forse i due posti in cui compro di più in assoluto – e poi Discoteca Laziale, vicino la Stazione Termini, sempre a Roma. Sono entrato la prima volta lì dentro che avevo quindici anni, e seduta alla cassa c'era un'anziana signora che snocciolava il rosario. Ci sono passato di nuovo l'altro ieri, e la signora c'era ancora.
Secondo me è un segnale".

Fabio De Luca, our very own Deputy Editor: "Prima di tutto, un ricordo di HMV. Erano gli anni a cavallo tra la fine di un Millennio e l’inizio di un altro: gli anni della dance che non era più nemica del rock, dei “superstar djs” come Fatboy Slim (per molti quasi una figura paterna), come i Chemical Brothers. Gli anni in cui noi – che dopo tanta gavetta si iniziava a fare i dj “seriamente”, approfittando di quel venticello di minima liquidità e voglia imprenditoriale che aveva iniziato a spirare anche nel clubbing underground nostrano – si volava regolarmente a Londra a “comprare i dischi” (con RyanAir, costava meno che andare in centro a Milano dall’hinterland, quasi). Per noi dj c’erano i negozi specializzati (a Camden, a Soho), e poi c’era HMV di Oxford Street. Che era un megastore commerciale, ma aveva una sezione “dance” incredibilmente ricca e aggiornata. Una parete intera coperta di 12” – noi l’avevamo ribattezzata “il paretone” – la maggior parte “white label”, lacche nere dentro una generica copertina bianca con una sigla distintiva sull’etichetta centrale. Dischi non ufficiali, prove di stampa, “bootleg”. Rarità in massimo dieci copie, che duravano sul paretone lo spazio di un paio di giorni. La cosa bella è che costavano meno (parecchio meno) che nei negozi specializzati da dj. La cosa brutta era che non li potevi ascoltare: dovevi comprarli sulla fiducia, sull’intuito. E senza avere neanche una copertina (spesso neanche un nome) su cui basarsi. La direzione di HMV però aveva trovato una soluzione geniale. Il “buyer” della sezione dance era evidentemente un fan con propensione alla monomaniacalità (come noi), e da un certo punto in avanti iniziò a scrivere – a pennarellone nero, davanti a ciascuna copertina – delle micro-recensioni che servissero da guida all’acquisto. Frasi stringate, il più delle volte laconiche, in genere cariche di (stronzissimo) humour inglese e “catchphrases” significative solo per la cerchia degli iniziati.Non c’era ancora Instagram (jella), ma c’erano i telefonini, e chi c’era ricorderà carteggi infiniti via sms con gli amici in Italia per interpretare “cosa avrà voluto dire?” e “ne prendo una copia anche per te. Un grazie postumo a te, eroe del paretone di HMV, poeta inconsapevole (o forse consapevole) di un’Intera generazione di dj in trasferta...  Compro ancora dischi? Sì, ovvio. Ovviamente, molto (molto!) meno di allora. Nel frattempo ho smesso di suonare il vinile (non sono passao a Traktor, mi son fermato a metà strada, ai cdR), e le cose dance le prendo ormai quasi tutte in digitale: soprattutto su Juno, raramente sul famosissimo Beatport e spesso sui bandcamp dei produttori. Su vinile compro solo 45 giri, e quasi più per ragioni estetiche (la bellezza dell’oggetto), e sono felice quando – in un negozio di dischi – capita ancora di sentire un disco in diffusione e di decidere sull’impronta di comprarlo (tipo la famosa scena coi Beta Band nel film tratto da “Alta fedeltà”). Mi succede quasi ogni volta nel mio negozio preferito, Rough Trade East a Brick Lane, Londra, e in quello che è “il” negozio della mia vita: Disco Club in via San Vincenzo a Genova: quello dove –bambino – cercavo i primi dischi “da grande”, e dove ancora adesso torno tutte le volte che posso. A “comprare i dischi”, come si diceva una volta".


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